Con sentenza n. 1568/2021, depositata oggi 8 febbraio 2021, il T.A.R. per il Lazio - Roma ha rigettato il ricorso proposto dall’Associazione ORA – Organizzazione Restauratori Alta-Formazione, “stante la palese infondatezza delle ragioni della ricorrente”.
Il T.A.R. ha in particolare affermato che con la modifica dell’articolo 182 del D.lgs. 42/2004 la qualifica di restauratore di beni culturali “abilita de plano il relativo titolare all’esercizio della corrispondente professione… Ciò in considerazione della mancata previsione, avuto riguardo all’esercizio della professione di restauratore dei beni culturali, di un esame ‘abilitante’ successivo al conseguimento della ‘qualifica’ di restauratore, nonché della mancata istituzione di albo professionale ad hoc, avente valore costitutivo, per come invece previsto, ad esempio, per la professione forense ovvero per quella di ingegnere”.
Di conseguenza, il Giudice amministrativo ha osservato che tutti i soggetti contemplati nell’elenco tenuto dal MIBACT “hanno ex lege la medesima qualifica di restauratore di beni culturali, abilitante all’esercizio della relativa professione, senza che tra gli stessi possa dirsi esistente, in ragione del differente titolo di acquisizione (superamento della cd. fase transitoria ovvero regime ordinario), alcuna distinzione di valore, che invero non trova riscontro né nella lettera delle disposizioni normative di rango primario e secondario sopra richiamate né nella ratio legis alle stesse sottesa”.
Per il T.A.R. del Lazio “La qualifica di restauratore di beni culturali è, dunque, unica ed ha egual valore abilitante alla professione avuto riguardo ai relativi settori di competenza e ciò indipendentemente dal percorso seguito per il conseguimento della stessa, secondo quanto previsto dalla normativa sopra richiamata”, mentre gli elenchi attualmente tenuti dal Mibact “sono del tutto privi di qualsivoglia valore costitutivo del diritto ad esercitare la professione di restauratore di beni culturali giacché siffatto diritto discende ope legis, a prescindere dalla predisposizione di albi/elenchi di sorta, dall’intervenuta acquisizione della qualifica in questione”.
In definitiva, con tale pronuncia il T.A.R. ha ribadito che la legge prevede l’esistenza di un unico elenco, “laddove gli iscritti dovranno legittimamente risultare differenziati soltanto in ragione del relativo settore di competenza e non anche, per come pretenderebbe l’Associazione ricorrente, in funzione del ‘titolo’ della rispettiva qualifica. Diversamente opinando, a carico dei soggetti diversi dai diplomati S.A.F. ante 2009, che hanno, al pari di questi ultimi, positivamente superato la procedura selettiva di cui all’art. 182 citato, si determinerebbe proprio quell’ingiustificato trattamento discriminatorio a torto dedotto dall’Associazione ricorrente a danno dei propri iscritti”.
La decisione va accolta con grande soddisfazione, poiché dando ragione alla stragrande maggioranza dei restauratori abilitati individua correttamente sul piano ermeneutico i punti cardine di una normativa (l’articolo 182 del Codice dei beni culturali e del paesaggio) pensata proprio per superare ogni discriminazione all’interno della categoria e per garantire la realizzazione degli interventi conservativi ad opera di professionisti effettivamente qualificati.
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