mercoledì 28 gennaio 2015

lunedì 26 gennaio 2015

Fotossidazione



OSSIMORO 

        controfondo di una xilografia su carta giapponese: quando il degrado diventa "opera"





Silvia Inselvini, "i giorni" con i miei occhi






                                                                   Mi piace esser parte
                                                                   di questa pace
                                                                                            ZEN



























E per associazioni di idee,
nella mia testa risuona questo passo, da "il ballo del potere" di Franco Battiato:



(The circles symbolize)
T'ai Chi which is formless and above duality
Here it is manifesting itself as the progenitor of the universe
It is divided into yin (the dark) and yang (the light) which signify
the negative and positive poles
Pairs of opposites, passive and active, female and male,
moon and sun






mercoledì 21 gennaio 2015

BANDO EROGAZIONE CONTRIBUTI PER INTERVENTI DI RESTAURO SUL PATRIMONIO DOCUMENTALE EMILIANO

VOLENTIERI DIVULGO QUEST'INIZIATIVA, NELLA SPERANZA CHE NE POSSANO USFRUIRE IN MOLTI, MA SOPRATTUTTO LE REALTA' PIU' PICCOLE E DEFILATE:



Grazie alle risorse raccolte nell'ambito dell'iniziativa Terra tremuit. Incisori per gli archivi, organizzata in collaborazione con la Soprintedenza archivistica per l'Emilia Romagna e l'Associazione liberi incisori, l'Associazione Nazionale Archivistica Italiana, Sezione Emilia-Romagna, ha emanato un bando per l'erogazione di contributi per la realizzazione di interventi di restauro del patrimonio documentario danneggiato dagli eventi sismici dell'anno 2012.
Scadenza: 26 febbraio 2015.

SEGUITE IL LINK PER VEDERE IL BANDO E SCARICARE IL MODULO DI PARTECIPAZIONE:
http://www.sa-ero.archivi.beniculturali.it/index.php?id=59&tx_ttnews%5Btt_news%5D=153&tx_ttnews%5BbackPid%5D=46&cHash=d6831fa5c4e499d557656aa51994afd8

martedì 20 gennaio 2015

come si fa un'acquaforte

PAGINE SPARSE
COME SI FA
UN'ACQUAFORTE

Luigi Bartolini

Si acquista una lastra di rame dello spessore di un millimetro, si fa tagliare da un lattonaio. Si fa lucidare, a specchio, da un nichelatore. In tal modo, con una lastra, grande di rame, si possono avere circa 18 lastre del formato 24 per 36.

Schizzo di torchio per stampa di acqueforti "Invenzione dell'A."

Si va da un droghiere. Si acquista un centinaio di grammi di cera vergine. Si acquistano cinquanta grammi di asfalto in polvere impalpabile. Si acquista un poco di trementina veneta (vischio). Si torna a casa. Si accende un fornello. Vi si mette sopra una scodella con tre dita d'acqua. Dentro la scodella se ne mette un'altra, ossia si fa fondere, a bagnomaria, prima un cucchiaio di vischio, poi un pezzo di cera vergine (circa 50 grammi); vi si aggiunge, a completa fusione, un cucchiaio da tavola, di asfalto in polvere impalpabile, si tira indietro dal fuoco la scodella, si lascia raffreddare pian piano agitando con uno stecco; la miscela, raffreddandosi, intosta ed allora la si prende e, con le mani, si riduce a pallottole. Io vi metto anche il bollo: la mia marca di fabbrica, con la data. Ma codesti particolari non interessano. Quel che interessa è il modo come si fa a distendere questa «cera» sopra la lastra di rame. E si fa cosi: Prima si sgrassa la lastra, con della potassa diluita, ma calda. Per persuadersi che la lastra è sgrassata (e se non lo fosse, la cera non si attaccherebbe bene alla lastra di rame) vi si versa sopra dell'acqua: l'acqua scorrendo piana per tutti i lati indica che sopra la lastra non sono più isole di grasso o che.
Ciò fatto, si deve riscaldare la lastra; ma non arroventare; si prende la pallottola di cera, si strofina sopra la lastra calda. Al calore, la cera torna a liquefarsi. Si cerca di distribuire meglio che si può la cera sopra tutta la lastra. Si prende un tampone (un batuffolo di stoffa senza peli) e battendo sopra la lastra, a colpi sicuri assestati e rapidi, si fa in modo che la cera risulti distribuita egualmente e abbia l'altezza d'una sfoglia di cipolla (pardon: d'un petalo di rosa). Si prendono quelle candeline (da sinagoga) a sette fiammelle e con il fumo di esse si annerisce la cera. Se uno è bravo, risulterà così, sopra il rame, una superfìcie di cera sottile, nera, lucida, aderente, resistente all'acido nitrico, morbida più o meno alla punta che l'incisore adopera per disegnare. Come si è capito, ormai si tratta di disegnare. Con una punta (d'acciaio o di ferro, ma anche se si tratti di chiodo aguzzato è lo stesso: basta saper disegnare, il che è difficile), si tratta di scalfire la cera ossia, con una o più punte, disegnare sopra la superficie della lastra, togliendole filettini, pressoché invisibili, di cera. Quei filettini - che han generato sulla superficie della cera, dei solchi - hanno messo a scoperto il rame.

Schizzo di torchio
per stampa di acqueforti
Invenzione dell'A.
Luigi Bartolini - "La buona notte" - 1934 - acquaforte

L. Bartolini - La buona notte - 1934 - Acquaforte

E siccome l'acido nitrico non morde la cera, ma morde il rame, se si prenderà una bacinella e vi si porrà la lastra (su entrambe le facce coperta di cera) (il rovescio, non disegnato, già sarà stato ricoperto di cera diluita con grasso ed essenza di trementina e rafforzato di asfalto e trementina veneta) l'acido mangerà dentro i solchi scoperti, ossia inciderà il disegno sopra la lastra. Certamente, a dirla così, la cosa sembra semplice; ma, all'atto pratico, si incontrano difficoltà di vario genere. E, per esempio, per cancellare una parte di disegno graffiata male si dovrà prendere un pennello, intingerlo nella cera diluita in essenza di trementina e, con essa, cancellare. Anche tale vernice dovrà essere formata di più parti di asfalto che parti di cera. Sapendo fare molto si può cancellare sopra la lastra e rifare il disegno tantissime volte. Si può anche spargere, a freddo, una specie di vernice la quale ricopra tutta la lastra. Si possono fare tanti altri giochi maestri. Si può giocare di prestigio come si vuole, ma, prima, occorre una esperienza di venti anni.
La sostanza è quella di cavar fuori, da una lastra di rame, e mediante i due contrapposti: cera ed acido nitrico, un disegno da valere un poema.
Certo è che sopra nessuna carta si disegna cosi bene, cosi dolce, così in trance, come sopra una polita lastra di rame. Certo è che nessuna matita disegna cosi sottilmente, e se si desidera, così potentemente, quanto disegna, graffiando, una punta. Le punte da adoperare possono essere più d'una. Io ne ho sempre nelle tasche, una dozzena: ma codesti sono particolari da trattato.

Luigi Bartolini - "Portatori d'acqua" - 1943-51 - acquaforte

L. Bartolini
Portatori d'acqua
con le orecchie
1943-51 - Acquaforte

Incisa la lastra, eccoci al momento emozionante — anche per l'acrobata ed arcivecchio acquafortista - della «scoperchiatura» ossia del togliere la cera dalla lastra per vedere come l'acido nitrico ha morso. L'acido nitrico è un traditore. Oggi morde molto, domani pochissimo. Va con la luna: sente il tempo buono e cattivo. Come gli altri uomini adoperano il barometro, così noi acquafortisti, ci regoliamo dall'umore dell'acido per sapere quale tempo farà domani.
Qualche volta, quando è bel tempo, ci illudiamo l'acido morda: ma andiamo a scoperchiare e vediamo che egli ci ha tradito. Vuol dire che domani farà pioggia. Altre volte, invece, l'acido nitrico mangia come lupo. Divora, ed anche la povera cera ed il resistente asfalto e la appiccicosa veneta tramentina. Mangia, rode, distrugge, allarga i segni, fora addirittura la lastra, da parte a parte. Per regolarsi volendo conoscere gli umori di tanta bestia (che, con i suoi fumi, rovina i polmoni di uno che stia sopra la bacinella troppi minuti) i modi sono tantissimi. Non costituiscono segreti di mestiere; ma a darli completamente occorrerebbe un trattato. Quindi, per farla breve, dirò che qualche cosa di detti umori si può conoscere mediante una punta strofinata fra segno e segno: se si sente ostacolo, allora vuoi dire che l'acido ha intaccato bene. Se no, male. L'acido nitrico quando ha umore buono, morde - direi, ridendo - mediante una infinità di bollicine, che dapprima sembrano schiuma, sollevata dai solchi, poi diventa verde fioritura: più esse sono verdi e più l'acido ha umore buono.
Se poi uno non vuol trattare con l'acido nitrico, può, in sua sostituzione, trattare... con l'acido cloridrico. L'acido nitrico, che si usa per mordere bene, occorre diluirlo con acqua e ridurlo a circa 20 gradi (cioè si mette una metà d'acqua, nell'acido che si trova in commercio). L'acido cloridrico si diluisce di più ancora e fino a tanto che non fumi.

Luigi Bartolini - "Primavera in Osimo" - 1933-34 - acquaforte

In una bacinella, dove sia un litro d'acqua e mezzo bicchiere di acido cloridrico, si aggiungeranno alcuni grammi di sale da cucina, ed altrettanti di clorato di potassio. L'acido cloridrico è un vero signore. Umanissimo, lavora lento lento. Non tradisce mai. Morde in profondità e non allarga i segni. Si può andare a dormire e, al mattino, trovare la lastra incisa quel tanto che si desidera.
V'è poi un terzo mordente che io ho adoperato tante volte, con risultati buoni, ed è quello del Piranesi. Bellissimo di colore; di odore non ripugnante; sa di cantina ricca e particolare. Sa di vino. Infatti si fa con l'aceto, il sale da cucina, l'ammoniaca ed il solfato di rame. Io lo uso per incidere lo zinco e credo nessun mordente lo incida meglio di lui. Offre anche il vantaggio di generare, durante il bagno, sopra i segni, uno strato sottile di nero assomigliante a come sarà l'acquaforte dopo stampata.
Ciò detto - molto all'ingrosso e per i profani - dirò della stampa delle lastre incise.
Si prende della carta senza colla (carta asciugante, carte da filtro, carta, a volte che costa nulla, oppure, a seconda dei casi si prende una carta nobile, papale, ducale, delle cartiere di Fabriano o di quelle di Mansiliago, etc., oppure carta cinese, carta giapponese). Le carte si debbono bagnare. Debbono diventare morbide morbide come carne, come tessuto di adipe: come burro o poco più: giacché debbono entrare negli intagli (ossia solchi) della lastra di rame.
Entrando nei solchi già pieni di inchiostro da stampa (nero fumo con olio cotto e stracotto), il foglio assorbe e porta con sé l'inchiostro. La cosa sembra, al solito, facile: ma, a me, per stampare bene, sono occorsi, ripeto, venti anni di mestiere. Soltanto in questi ultimi anni ho capito cosa vuol dire bagnare bene la carta: e sapere scegliere la qualità, il colore, lo spessore, adatti al genere dell'incisione, in quanto al torchio, esso, teoricamente, è un'inezia; ma, in pratica, ogni torchio ha un modo di agire diverso: come fosse persona. E ve ne sono che non si mettono mai a posto, che si guastano per nulla, che non calcano bene, ossia non premono, non fanno entrare la carta, affamata d'inchiostro, nei più sottili o nei più profondi intagli del rame. La pressione del torchio deve essere al contempo dolce e potente: dolce, a persuadere la carta ad entrare negli intagli senza paura di farsi male; potente, a trarre fuori dalla lastra stessa tutto il sugo. Il torchio ideale sarebbe il pollice di Sansone che avrebbe forza e dolcezza.

L. Bartolini
Primavera in Osimo
1933-34 - Acquaforte
Luigi Bartolini - "Gli amanti" - 1943 - acquaforte

L. Bartolini - Gli amanti - 1943 - Acquaforte

Per stampare si fa, presso a poco, così: col tampone si sparge inchiostro sopra la lastra riscaldata. Si deve spargere eguale su tutto il rame. Poi, aiutandosi con veli di tarlatana (io adopero calze femminili fuori uso, stracciate) si toglie l'inchiostro dagli spazi piani: si che l'inchiostro rimane soltanto dentro i segni. Il torchio è, presso a poco, composto di due cilindri pressati uno contro l'altro, da due viti.
La lastra, e sopra ad essa la carta e i panni di moleschino, debbono, insieme passare fra i due cilindri, e, passando, stampare.
Quando si va a sollevare, da sopra la lastra, la carta, accade che, su dieci volte, soltanto una, la prova di stampa è riuscita bene; ma neppure questa volta riuscita come la si desiderava.
Così è incidere all'acquaforte. Ma perché, dunque, si fatica tanto, quando, e con un semplice foglio di carta, si potrebbe fare tanto presto senza tanta rocamboleria un disegno bianco e nero?
- Signore mio, allora vi domanderò perché vi sono delle farfalle dalle ali azzurre, anziché essere delle comuni farfalle bianche?
Delle rose rosse, d'un rosso che i giardinieri distinguono per il più bello quale per una rosa si possa immaginare? Perché, dunque, e con tante cure sapienti, vengono alcune rose allevate nei nobili giardini? Per chi si accontenta d'una farfalluccia cavolaia qualunque, l'acquaforte - io lo so - rappresenta un di più, vano; una nobiltà sì, troppo gentile, troppo sottile, troppo profonda, pressocché inaccessibile e, purtroppo, inaccessibile a tantissimi.


venerdì 9 gennaio 2015

HANJI vs WASHI , questioni di pelo....


Hanji: 25 gr/mq
Washi:  29 gr/mq

Per entrambe le carte:
- taglio all'acqua, perpendicolare e parallelo ai filoni
- larghezza falso margine 3cm









giovedì 8 gennaio 2015

Silvia Inselvini, "I GIORNI": quando Conservare diviene Design

Nel mese di novembre / dicembre ho avuto occasione di collaborare con l'artista bresciana Silvia Inselvini, alla risoluzione espositiva della sua opera "I GIORNI", in queste settimane visibile presso la galleria San Fedele di Milano.


Si tratta di un'immensa e complessa opera, di cui così si legge nel comunicato stampa: 

"Con l’opera I giorni, Silvia Inselvini, segnalata dai curatori del Premio, presenta un lavoro che nasce da un lungo percorso di riflessione, come se fosse la messa in atto di un rituale. Due grandi stampe fotografiche riproducono i cento fogli di carta semitrasparente sui quali l’autrice ha fatto in modo che i singoli chicchi di riso, da lei intinti nell'inchiostro e poi passati sulla carta, lasciassero traccia della pressione esercitata. Accanto alle stampe fotografiche, da un lato una scatola di carta contiene i fogli che hanno accolto il passaggio della mano e del riso, mentre dall'altro lato, gli stessi chicchi di riso, anneriti, si fanno testimonianza del lavoro compiuto. Il gesto assume un ruolo fondamentale: giorno dopo giorno, la ripetizione dell’azione diventa meditazione sul senso del nostro agire, che come il ripetersi di una preghiera si fa denso di senso. Si tratta dunque di una mostra tanto «silenziosa», quanto intensa e profonda nella sua capacità di farci riflettere su alcune dimensioni fondamentali del mondo di oggi."


Il mio intervento è consistito nel montaggio di tutti i cento fogli, di carta solforizzata, su altrattante cartelle, realizzate a mano, e costituite da un piatto in cartoncino 0,5 mm e dalla copertura in carta barriere (80 gr/mq). I disegni sono stati fissati al fondo con angolini adesivi, in polietilene e acid-free. Cinquanta opere, poi, sono state inserite in una scatola eseguita su misura. Il tutto assemblato con le mie manine e  impiegando materiali adatti alla conservazione.

Devo ammettere che, per una condizione fortuita, tutti i prodotti impiegati, e da me normalmente usati, hanno una nuance e una trasparenza/opacità che si sposa perfettamente con l'idea e l'opera di Silvia, diventando, perciò, un naturale elemento dell'installazione. Personalmente non amo l'uso dei triangoli adesivi, ma in questo caso si voleva mantenere i disegni inattacati, e il più possibile inattaccabili. Il supporto scelto dall'artista, infatti, ha un aspetto piuttosto etero, difficile però da preservare. La carta solforizzata, e più in generale tutte le carte trasparenti, sono molto delicate, qualsiasi accidente è di difficile risoluzione e va da inficiare la consistenza ed estetica dell'opera. Credo che questa sia la soluzione meno invasiva e più efficace, per di più è esteticamente coerente: quando Conservare diventa Design.










"I GIORNI" è visibile sino al 24 gennaio
dal martedì al sabato, con orario 16:00-19:00
C/o la Fondazione Culturale San Fedele 
       - Piazza San Fedele, 4 - Milano 

parte della mostra

"Ricerche nel quotidiano
Andrea Francolino, Afran e Silvia Inselvini a confronto"

 per info: 
www.centrosanfedele.net


martedì 6 gennaio 2015

l'Epifania tutte le feste si porta via!



Bellissimo Capolettera -E- con una "Viaggio e Adorazione dei Magi" (15 x 16 cm).
Miniatura in tempera e oro del miniatore Franco dei Russi (Italia, attivo dal 1453 al 1482) da frammento di un Antifonario su pergamena composto in nord Italia nel 1470 circa.
Getty Museum, Los Angeles, CA USA

E domani parliamo un po' del "Riconoscimento" delle tecniche di stampa.

Oltre ad alcuni esemplari originali da osservare, rigorosamente con il lentino contafili, mi porto appresso un po' di libri e cataloghi da sfogliare.

domenica 4 gennaio 2015

DOMANDE CREATIVE

"Niente da fare: il modo più semplice, più rapido, più divertente, più efficace e (quasi) infallibile per trovare buone risposte è farsi buone domande. “Giudicate un uomo dalle sue domande più che dalle sue risposte”, dice Voltaire.
Farsi domande è un atto creativo: l’espressione di un atteggiamento che comprende curiosità, pensiero indipendente, apertura mentale, capacità di negoziare con il caos e l’incertezza.
Se per caso avete voglia di tuffarvi nella sterminata produzione internazionale di testi per l’azienda volti a migliorare la capacità di problem finding (cioè saper scoprire problemi) di problem shaping o problem setting(cioè saper configurare i problemi correttamente) e, finalmente, di problem solving (il saper trovare soluzioni) scoprirete che molte delle tecniche proposte hanno a che vedere con il farsi domande.
Trovano problemi da risolvere facendosi le giuste domande gli innovatori seriali.
Insomma, santa polenta!, fatevi delle domande. Sempre. Avete notato che un punto interrogativo a testa in giù somiglia a un amo? Bene: buttatelo nel mare del possibile, e vedrete che qualcosa di interessante ci resterà attaccato.
Se per caso vi state chiedendo quali domande conviene farsi (anche questa è una buona domanda), ecco qui:
  • Domande ingenue, le migliori per trovare nuove prospettive: che cos’è? Come funziona? Perché succede? Come comincia? Che senso ha? Quanto mi piace? … e perché?
  • Domande paradossali, ideali per cambiare punto di vista: è il magicowhat if, “che cosa succederebbe se…” (fosse più pesante? Più leggero? Capovolto? Peloso? Se costasse il doppio, oppure niente? Se avesse le ali… se fosse una pizza? Un cane? Che cosa succederebbe se la forza di gravità sulla Terra raddoppiasse? Se sparisse il denaro? Se fossimo alti tre metri?).
  • Domande ossessive, perfette per ottimizzare o finalizzare: si può fare meglio? In meno tempo? Con costi (economici, ambientali, umani…) inferiori? È utile? È efficace? È coerente? È equilibrato? O c’è qualcosa che non va? E che cos’è?
  • Domande metodologiche: qual è l’obiettivo? Qual è il prossimo passo? Quali sono i rischi e le opportunità? Quali sono i vincoli? Quali sono le risorse necessarie?
  • Domande oniriche, ottime per trovare soluzioni inaspettate. Si tratta di andarsene a dormire avendo chiare tutte le coordinate di un quesito. Nel sonno, il cervello continua a lavorare per conto suo e può trovare risposte. Per esempio, il chimico Friedrich August Kekulé si domanda (siamo nella seconda metà dell’ottocento) come accidenti è fatta la molecola del benzene. Ci lavora indefessamente, senza risultato. E finalmente, come racconta Scientific American, una notte, mentre dorme, trova la soluzione nel sogno di un serpente che si morde la coda.
  • Domande altrui, perfette quando avete finito le vostre: è un metodo proiettivo che funziona piuttosto bene. Pensate a una persona brillante o saggia che conoscete, mettetevi nei suoi panni e chiedetevi che cosa quella persona, se fosse al vostro posto, si domanderebbe.
  • Occhio. Domande da non fare (specie se siete a una conferenza, ma non solo): le elenca Times Higher Education, e ve le ripropongo perché sono anche domande da non farsi. Domande di cortesia (sono inconsistenti), domande vaghe del tipo “rispondi quel che vuoi”, domande per attirare l’attenzione su di sé (lo scopo è pavoneggiarsi, non certo avere una risposta), affermazioni speculative (in realtà si tratta di sproloqui non pertinenti), domande ostinate (esprimono irritazione in forma di quesito), domande per dimostrare di saperla lunga (be’, queste non sono neanche domande, ma qualcos’altro).
Ah: infine, un piccolo trucco. Per farvi delle buone domande, dovete dimenticarvi – ma sul serio – tutte le risposte che presumete di conoscere già."
                                                                                                                                   Annamaria Testa
                                                                                                        Da, Internazionale, novembre 2014

Ho trovato questo articolo in rete, ne sono rimasta impagliata.....

sabato 3 gennaio 2015

HANJI vs WASHI

La sperimentazione ha preso il via!
Su 4 identici fac-simili di carta trasparente moderna, avanzo delle superiori, sto testando diversi metodi di spianamento, sutura di strappi e lacune, foderature e applicazione di falsi margini. In contemporanea vado confrontando anche adesivi differenti, con i quali effettuo i vari interventi.

In parallelo, si svolge l'intervento su un'opera originale di grande formato, impiegando un'unica metodologia, tra quelle studiate e risultante più efficace.

Il tutto fa parte del progetto di "the Group 130 Paper Conservator", per il Convegno Adapt&Evolve di Londra 2015. In particolare la sperimentazione su tracing paper avviene in stretta collaborazione con la collega Laura Barzaghi.

Fino ad Aprile i risultati saranno "segreti".... per ora accontentatevi di questi miseri scatti!

Hanji 1101 -1201 -1303 -1308 -1401
Washi K35 - K43


Risarcimento di una lacuna (carta trasparente) con Hanji

I fac-simili debitamente stropicciati per essere posti sottopeso secondo 4 diversi metodi di spianamento